Itinerari dello spirito

Uno straordinario viaggio alle radici del Gange in occasione del Kumbha Mela, un'eccezionale celebrazione che si verifica solo ogni 12 anni in una particolare congiuntura astrale. Si tiene nelle quattro città sante: Allahabad, Ujjain, Haridwar e Nasik, alternativamente ogni 3 anni e nel 2010 sarà l'anno di Haridwar, dove il Gange entra nelle pianure scendendo dall’Himalaya, nello stato federato dell'Uttarakhand, nell'India settentrionale. Una opportunità unica per conoscere la religiosità degli Hindu in uno dei suoi aspetti più straordinari.
Il Kumbha Mela è l'instaurazione temporanea di una città celeste, la costruzione di un sogno collettivo, la manifestazione della fantastica esistenza sulla terra degli uomini vincolati a Dio. E' l'incontro di Sadhu e pellegrini provenienti da tutti gli angoli dell'India e del mondo. I Sadhu, i santi dell'India, sono le star dell'evento e per loro questo è il momento più importante della vita ma è cresciuta negli ultimi anni la presenza dei turisti da tutto il mondo. Il Kumbha Mela dura circa quattro mesi (terminerà il 28 aprile) durante i quali si fanno diversi bagni collettivi nel fiume sacro. Il più importante è lo Shahi Snan, "bagno dell'imperatore" con una spettacolare processione (15 marzo). Oltre ai bagni rituali, moltissimi sono gli eventi previsti, tra cui celebrazioni, conferenze, assemblee, discussioni su temi religiosi, canti e balli. Il viaggiatore per vivere questa esperienza dovrà munirsi di spirito di adattamento e di grande disponibilità, sarà ampiamente ripagato dalla singolarità degli incontri e dalla  magica gioiosa atmosfera della comunione fraterna, in un evento unico.

Passaggio in India - Tratto da "Il Sole 24 ore"
Haridwar, dove sacro e miseria si intrecciano sulle sponde del Gange
reportage di Marco Barbonaglia

HARIDWAR - Arrivare ad Haridwar in treno è un'esperienza forte. Non per via del mezzo di trasporto. Con un costo contenuto, infatti, si può viaggiare in un vagone piuttosto comodo nel quale cibo e the' caldo vengono serviti ad intervalli regolari. Quattro ore e mezza circa per percorrere poco più di 200 km. Solo l'aria condizionata è irragionevolmente forte, ma di questo non c'è da stupirsi, è un fatto comune nei Paesi asiatici.
Quando si scende dal treno, però, le cose cambiano. In una stazione piccola ma affollatissima vengo accolto da nuvole di mosche e da un mix di odori pungenti che vanno dall'incenso agli escrementi, difficile da descrivere.
Attorniato da uno sciame di tassisiti insistenti, esco dall'edificio e mi trovo davanti un formicaio gigantesco. Centinaia di persone sedute o sdraiate per terra, in attesa di partire o impegnate ad elemosinare qualche rupia. Gruppi di scimmie saltano su e giù dai tetti delle case, mentre le onnipresenti vacche vagano tranquille per la strada.
La via principale, appena fuori dalla piazza della stazione, è quasi impraticabile, soprattutto con gli zaini in spalla. I clacson suonano quasi all'unisono, con un ritmo martellante, i risciò a motore e quelli a pedali si infilano ovunque, tra i carretti portati a mano o trainati da muli e una folla enorme e colorata, che scorre senza sosta, come le acque di un fiume.
Con mio fratello decidiamo, allora, di prendere un motorisciò e di dargli l'indirizzo di uno degli alberghi che abbiamo visto su una guida. Naturalmente, se ne fermano almeno tre e due conducenti iniziano a litigare per decidere chi ci deve caricare. Quando saliamo sul nostro mezzo, però, ci accorgiamo subito che "l'autista" non parla una parola di inglese. Comunque, gli diciamo il nome dell'hotel e l'indirizzo e speriamo di avere fortuna.
Ben presto, invece, mi accorgo, guardando la mappa, che il tragitto non è quello giusto. Il risciò procede lentamente, con il motore che scopietta, sobbalzando ad ogni asperità della strada. Attraversa il Gange e ci porta in una zona piena di mendicanti, famiglie intere che vivono in capanne di lamiera, tende strappate o che dormono direttamente per terra, in mezzo a mucchi di rifiuti. L'autista non ha capito nulla di quello che gli abbiamo detto e, per qualche inspiegabile motivo, ha scelto di farci scendere proprio qui.
Discutere è impossibile, bisognerebbe conoscere l'hindi. Lo paghiamo e se ne va.
D' un tratto ci accorgiamo di essere circondati da un esercito di derelitti. Fin dove possiamo vedere, intorno a noi, cè' solo lo spettacolo tristissimo di un'infinita miseria. Ma l'atmosfera è molto tranquilla e nessuno sembra badare più di tanto a noi. Per di più, siamo troppo stanchi per essere preoccupati di quello che ci può accadere, così ci incamminiamo piano piano verso la zona che ci pare più adatta per trovare un albergo.
Dopo aver girato per più di un'ora visitando stanze di ogni tipo, da quelle piene di scarafaggi a capanne di paglia in riva al Gange, sudati fradici, troviamo infine una sistemazione quasi decente, per meno di dieci euro a testa. Mentre aspettiamo le chiavi della stanza incominciano ad entrare due bambini che ci guardano stupiti con i loro grandi occhi scuri. Scopriremo, poi, che per la gente del posto, poco abituata alla presenza di turisti (ne incroceremo non più di quattro o cinque in due giorni), siamo una spece di attrazione.
Per ora, i bambini ci osservano meravigliati, poi uno si avvicina e mi chiede come mi chiamo e di dove sono. Mi dice il suo nome e se ne va a chiamare un amico. Questo arriva e ne va a chiamare un altro ancora. Vengono tutti a vedere questi due uomini, vestiti in modo strano, che girano con due grossi zaini sulla schiena e, uno ad uno, vinta la timidezza, vengono a presentarsi. Poi si fermano tutti e ci guardano mentre compiliamo il registro dell'albergo.
Ma Haridwar, centro di 220.000 abitanti a nord est di Delhi, nell'Uttarakhand, non è solo questo. Prima di tutto è una delle quattro città che ospitano il Kumbh Mela, la più grande festa religiosa del mondo, capace di richiamare milioni di pellegrini. Una folla talmente sconfinata che, in quei giorni, è vietato muoversi non solo con l'auto ma anche in bicicletta e, per chi cammina, è obbligatorio girare in un unico senso di marcia.
Noi ci rendiamo conto della magia di Haridwar solo quando usciamo, verso sera, per cercare un posto dove mangiare. Facciamo appena qualche passo e ci imbattiamo nel vivace mercato notturno di Bara Bazar. Un via vai continuo di persone in mezzo a bancarelle e negozi che vendono praticamente di tutto. Dagli elegantissimi sari alle immagini degli dei dell'induismo, dai tappeti pregiati al cibo cotto al momento.
Ma il vero cuore pulsante di Haridwar, è l' Har-Ki-Pairi Ghat, letteralmente "l'orma di Dio". È su queste scalinate che conducono al Gange (come quelle più celebri di Varanasi), che si riuniscono ogni sera, al crepuscolo, migliaia di fedeli. Camminando lungo il fiume, ad un certo punto, si incomincia ad intravedere la gigantesca statua di Shiva, che pare uscire dalle acque, con il tridente in mano. Per un centinaio di metri ancora, si costeggia il fiume tra pellegrini, gente comune e asceti. Ad attirare l'attenzione dei viaggiatori occidentali, più di tutti, di solito sono i Sadhu dalle lunghe barbe e le capigliature selvagge, vestiti di arancione o mezzi nudi, con la cenere in volto o con il bastone a forma di tridente.
Sono coloro che hanno lasciato la vita mondana, che hanno abbandonato tutto e si dedicano alla ricerca dell'illuminazione. Agli occhi degli europei e degli americani, abituati a considerare carriera e posizione sociale come obiettivi quasi irrinunciabili, pare incredibile quante persone intraprendano ancora oggi questo tipo di strada e come siano perfettamente accettati dalla società indiana.
Solo quando si arriva all' Har-Ki-Pairi Ghat si può osservare l'indimenticabile, magica cerimonia dell'Aarti Ganga. Ogni sera, all'imbrunire, qui i pellegrini si accalcano a migliaia, per affidare la lampade votive, appoggiate su foglie di banano, alle acque del fiume sacro e per bagnarsi tra i sui flutti. Mentre una voce recita un mantra dal tempio, una miriade di luci illuminano il corso del Gange, trasportate dalla corrente. Sono le offerte che i fedeli donano alla Madre Ganga, che con le sue acque impetuose, da migliaia di anni è fonte di vita per milioni di persone. Una sterminata schiera di occhi luminosi che danzano tra le onde scure a spiare la notte che sta arrivando.
Qui, mentre soffia la brezza della sera, con i canti e le dolci musiche sacre come sottofondo, con lo sguardo che vaga su quell'infinità di fiammelle abbandonate alla corrente del Gange ad illuminanare la sera, si viene, finalmente, pervasi da un profondo senso di pace e di serenità.

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