Ubuntu’s stories
Di Giovanni Rachello
XIV - L’antico Egitto e gli archivi di Amarna
Al di là delle piramidi, dei grandi complessi templari e delle tombe dei faraoni, in Egitto esiste un luogo di grandissimo valore storico, senza il quale la storia del Vicino Oriente antico sarebbe assai meno luminosa. Grazie alla conservazione perpetua dagli antichi faraoni del nuovo regno, le lettere Amarna sono state tramandate fino a noi, che oggi possiamo leggerne il contenuto per comprendere le dinamiche politiche dei regni regionali del II millennio a. C.
In questo luogo, situato nell’Egitto centrale, a metà strada tra Tebe e Memfi, rispettivamente la capitale amministrativa e religiosa del paese, il faraone Akhenaton, che aveva ribattezzato la città in suo onore con il nome di Akhetaton, fece trasferire entrambe le capitali, rendendola il centro vitale del nuovo regno egizio. Tra le rovine rinvenute vi sono numerose tombe, tra cui quella dello stesso Akhenaton, e il famoso busto delle regina Nefertiti (o Nefertari), oggi esposto al Museo Egizio di Berlino, nonché una rappresentazione in avorio del faraone Tuthmosi III, uno dei più grandi sovrani dell’antico Egitto, e un modello della testa del famoso Tutankhamon.
Ma dal punto di vista di uno storico, il contenuto più interessante è costituito da un ritrovamento, da parte di alcuni contadini, avvenuto nel 1887. Si tratta delle famose “Lettere di Amarna”, un archivio di tavolette cuneiformi provenienti dalla Mesopotamia e indirizzate ai sovrani egizi Akhenaton, Amenophi III, Tiye e Tutankhamon dai re di Babilonia e Mittani, dagli Ittiti e dagli altri regni amorrei come Ugartu. Queste lettere sono molto significative dal punto di vista del consolidamento dei rapporti internazionali, e testimoniano scambi di doni e unioni matrimoniali, sintomi di uno stato dei commerci e della diplomazia molto più avanzato rispetto a quanto testimoniato dalle tavolette cuneiformi del III millennio.
È molto interessante notare una tavoletta in particolare, indirizzata dal sovrano babilonese Burna-Burias II al faraone Amenofi III. Burna Burias era un sovrano proveniente dalla tribù dei Cassiti, una tribù esterna a Babilonia stessa e di recente ascesa, la quale ancora non conosceva l’etichetta che caratterizzava i “grandi sovrani” del Vicino Oriente e che così si riconoscevano (si parla dei re di Babilonia, Egitto, Assiria, Mittani e dell’impero Ittita). Il termine con cui questi sovrani si riconoscevano, tranne il faraone egizio, era Lugal-gal, e tra di loro utilizzavano appellarsi con l’etimo Ses-ya, che significa “fratello mio”. Ebbene, in una lettera, Burna-Buryas si appella al faraone chiamandolo “fratello” eccessive volte e gli si rivolge mai con il termine di Lugal-gal, mancandogli perciò di rispetto. Ancora più interessante è la ridicola offerta di scambio di doni: il sovrano babilonese offre appena 4 mine di lapislazzuli, una pietra oggi comune ma al tempo di un certo valore, in cambio di un dono in oro. Si tratta dell’unico caso di richiesta d’oro da parte di un sovrano del Vicino Oriente, al quale il faraone non acconsentì.
Un’ultima considerazione interessante riguarda i faraoni: entro il sistema delle cinque potenze, essi si ritenevano superiori agli altri re e nelle loro risposte non si rivolgono mai agli altri sovrani chiamandoli “fratello mio”, segno di un’intrinseca pretesa di superiorità le cui motivazioni risiedono anche nel sistema di divinizzazione del sovrano egizio, una pratica aborrita, invece, nei regno mesopotamici sin dal tempo dell’impero di Accad.